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Marcello forcina / Digital strategist 

44 anni, laurea in Scienze della comunicazione, due master in marketing e comunicazione digitale, 16 anni di esperienza in agenzie digital. Podcast producer, docente di podcasting e autore di romanzi comedy.

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16 anni di carriera in agenzie digital

Da SMM a Client manager, da media planner a PM, da Digital Strategist a Head of Strategy & Delivery, in Ammiro, Screenweek, H2H, DPlace e Polk&Union.

15 top-brand per i quali ho fatto strategia

Bulgari, Renault, Dacia, Notorious pictures, PlayStation Italia, Mercedes Benz, National Geographic Italia, Bricofer, Pfizer, Menarini, ENI, DeAgostini, BCC, Max Mara, Max&Co.

2 progetti di podcasting indipendente

Il comedy podcast Se potevi cambiarmi il carattere nascevo word (2 nomination a ILPOD - Italian Podcast Awards) e Pod's got genius, il primo talent per podcaster.

1 codesign di podcasting internazionale

Co-creazione del podcast AGILIES  per Erasmus+ Mobility Programme, con Ciape, The Apartment, Eco Logic, EILD e Anci Lazio (2022-1-IT01-KA210-VET-000081938).

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Creator vs podcaster: il podcasting è a un punto di svolta?

Immagine del redattore: Marcello ForcinaMarcello Forcina

Settimane calde per l'ecosistema dei podcaster: i numeri in crescita di YouTube, le nuove release di Spotify e un'attenzione crescente per il formato video (e per il fenomeno dei creator) potrebbero portare il podcast a un bivio importante nel suo sviluppo, sia contenutistico che tecnologico.


Ci ho ragionato un po', ho studiato il fenomeno e ho deciso di aggiungere il mio mattoncino alla conversazione.

 

Da dove partiamo?

Il 5 dicembre ero a Milano per THE PODCAST ERA - FREE 2 CREATE, evento realizzato da Spotify Italia con una pipeline sfavillante di argomenti, podcaster dai numeri importanti, spunti di innovazione, grandi risultati e annesse celebrazioni. A fare da "colonna sonora" all'evento, il wrapped: format geniale (sempre più consolidato e sempre più virale) di Spotify, che ha indirettamente sottolineato due temi cruciali per la piattaforma padrona di casa:


  • il livello di personalizzazione, incrementale per raffinatezza ed efficacia

  • e la consacrazione dei creator (termine che scelgo non a caso) di maggior successo, perfettamente speculare al posizionamento degli artisti musicali, che pure sono apparsi in cima ai nostri WRAPPED.





Qualche ora prima, due newsletter di riferimento nel settore del podcasting italiano (cruciali per appassionati e addetti ai lavori) hanno pubblicato altrettante interessanti release, intercettando con un tempismo eccellente una serie di questioni nelle quali tutti, entro la giornata, ci saremmo imbattuti.



Ester Memeo

PROSPETTIVE di Ester Memeo (subscribe here: https://estermemeo.substack.com/)

Podcast coach e producer, fondatrice di Podstar e organizzatrice dell'ultima edizione del Festival del podcasting, Ester Memeo titola: Chi e come sta cambiando il mondo del podcast? e individua, con grande lucidità, la metamorfosi che il podcasting sta attraversando, evolvendosi da mezzo indipendente a prodotto integrato in ecosistemi tecnologici, culturali e commerciali più ampi, con un crescente focus sul video. YouTube ha superato Spotify e Apple come piattaforma principale per i podcast, grazie alla sua capacità di risolvere problemi di discoverability e interazione. Spotify, per contro, punta sui creator e valorizza il video, che però ha il limite di supportare un unico formato: il talk. Questa evoluzione porta con sé due rischi: uniformità dei contenuti e polarizzazione tra creator famosi e indipendenti.



Andrea De Cesco

QUESTIONI D'ORECCHIO di Andrea F. De Cesco (subscribe here: https://andreadecesco.substack.com/)

Giornalista specializzata in podcast e audiolibri, direttrice editoriale della formazione e strategy consultant per Chora e Will Media, Andrea De Cesco lancia la provocazione fin dal titolo: I podcaster non esistono più. Partendo da intuizioni analoghe, De Cesco approfondisce il nuovo programma di Spotify per permettere ai creator di guadagnare non solo dalla pubblicità, ma anche dagli ascolti degli utenti Premium. L'obiettivo è convincere più utenti a pagare l'abbonamento e competere con YouTube (sfruttando il business model che la distingue dal colosso google), scendendo, così, in campo sullo stesso formato: i videopodcast - emblematico il cambio di nome della piattaforma che da Spotify for Podcasters è diventata Spotify for Creators. Secondo la giornalista, il tempo creerà una profonda distinzione tra podcaster indipendenti che produrranno contenuti di sperimentazione e drammaturgia audio e creator che, rispondendo alle logiche delle varie piattaforme, opteranno per contenuti video maggiormente monetizzabili.



It's the end of the podcasting
...as we know it?*

* Non amo i titoli click-bait, né le semicit. di artisti che non finiscono in cima al mio Spotify wrapped (e che, quindi, non avrei diritto a manipolare)... tuttavia, il titolo le ha richieste entrambe, sarà che non amo neppure pensare che questa domanda possa avere una risposta affermativa!!! Per questo, cercherò di smontarla un mattoncino alla volta, ponendo sul tavolo forse più domande che risposte, ma aggiungendo la mia voce al dibattito, nella speranza che non si esaurisca in fretta.


Discoverability (in modalità TikTok)

La possibilità di caricare podcast in formato video (preferirei chiamarli vodcast, ma la piattaforma non li distingue a livello di label) è stata introdotta da Spotify in una fase in cui molti podcaster indipendenti avrebbero preferito un maggior investimento tecnologico per risolvere l'annosa questione della discoverability. Mai avremmo immaginato, ai tempi, che i due temi sarebbero finiti così vicini, men che meno... per opportunità di business.

Spotify deve aver letto letto nell'indubbia preferenza di Gen Z e Alpha per questo formato una ghiotta occasione per attingere a piene mani dalle dinamiche che hanno portato al successo TikTok e simili, con tutta una serie di accorgimenti per caldeggiarne l'utilizzo: dalla feature estesa anche a creator con hosting esterni al suo ecosistema, alle playlist 100%-video che valorizza a livello editoriale (molto più di quanto non abbia mai fatto per le produzioni audio), dall'inclusione di 3 video podcast su 5 nel nuovo Radar 2025, fino all'evento del 5 dicembre a Milano. E c'è da scommettere che non si fermerà qui.


Sta di fatto che... se fino a qualche mese fa per emergere nelle classifiche bisognava presentarsi all'ingresso forti di una community pregressa - vedi influencer, scrittori, vip, etc - o del supporto di una podcast company, oggi per un creator indipendente le chance per arrivare in alto sono molte di più. Nessuno dice che sia facile, certo. Ma possibile sì: a patto di seguire i trend e le conseguenti logiche di monetizzazione. Né più né meno come TikTok.


Rimediazione

Però TikTok è una piattaforma proprietaria, così come lo sono Instagram, Facebook e YouTube. Ci sta che ByteDance e Meta definiscano i formati: è casa loro, loro sono pure le regole del gioco!


Come giustamente evidenzia Memeo, il podcast è un medium che nasce libero e indipendente. Né Curry né Winer hanno fondato un social network o lanciato una piattaforma di streaming. Ciò che ha fatto crescere il podcasting fino a farlo emergere come fenomeno sociale, è l'essere rimasto indipendente fino a oggi. O fino a ieri, lo capiremo presto.

Che dietro al microfono ci sia un indipendente seduto nel suo studiolo domestico o il Re Mida del true crime, o che li si ascolti attraverso un big dello streaming o ciucciando l'audio direttamente dal feed RSS... il contenuto in sé è sempre rimasto indipendente, visto che nasceva fuori da una qualsiasi "struttura blindata" creata ad hoc da una piattaforma.


In questo caso, penso sia corretto scomodare il termine rimediazione, coniato nel 1999 da Bolter e Grusin, che consiste nella rappresentazione di un medium di massa in un altro, anzi, ancor più precisamente: nell'utilizzo di alcune caratteristiche tipiche del primo all'interno di un altro. Nel tempo, il web ha rimediato la TV e la carta stampata, il sistema operativo Windows ha rimediato l'ufficio, etc.


Se fino a qualche anno fa, le piattaforme di streaming hanno semplicemente "ospitato" i podcast, ora secondo me stanno iniziando a rimediarli. Lo fanno nel momento in cui prendono alcune caratteristiche e le riscrivono, creando - di fatto - un nuovo media.


Quindi, per capire che fine farà il podcast, la prima cosa da fare è definire se questa rimediazione vuole essere:

  • TRASPARENTE, ovvero restano entrambi i formati e si instaura un meccanismo sinergico di rimando tra uno e l'altro.

  • TRASLUCIDA, cioè il nuovo medium mantiene gli elementi del precedente e, in qualche modo, lo migliora, enfatizzando la differenza piuttosto che diminuirla.

  • AGGRESSIVA... il nuovo medium rimodella il vecchio, minimizzando la discontinuità tra i due.


Continuo a sperare nella prima opzione, ma ho il timore che l'ago oscillerà nel tempo tra la seconda o la terza, e sospetto di sapere anche il perché.

“Ogni nuovo medium trova una sua legittimazione perché riempie un vuoto o corregge un errore compiuto dal suo predecessore, perché realizza una promessa non mantenuta dal medium che lo ha preceduto” Jay David Bolter, Richard Grusin - Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi.

My two cents: benché Bolter e Grusin associno sempre questo vuoto alla mancanza di immediatezza, l'unica "carenza" che riesco a rintracciare nel podcasting indipendente è stata, nel tempo, la difficoltà a intercettare un modello di business sostenibile.


La domanda allora è: basterà questa esigenza di "correzione" a rendere plausibile (seppure opinabile per alcuni) la rimediazione in atto?



Quindi? È andata così, fine dei giochi?

Non è detto. Ho due buone notizie, che vengono proprio dallo studio di Bolter e Grusin a cui ho fatto riferimento prima.


  1. Il processo di trasformazione dei mezzi di comunicazione porta i nuovi media a modellarsi sulle caratteristiche dei precedenti, ma contemporaneamente costringe i media precedenti a ripensarsi in base alle innovazioni attuali. Secondo Bolter e Grusin, questa connessione tra media è sempre esistita, ma oggi assume una maggiore rilevanza in un contesto tecnologico in rapida evoluzione, al quale i mezzi di comunicazione preesistenti devono necessariamente adattarsi.

  2. Accanto al concetto di rimediazione, ne troviamo altri due altrettanto interessanti. Uno lo abbiamo già citato è l'immediatezza, intesa come riduzione della distanza tra il fruitore e ciò che viene rappresentato, attraverso un'immersione totale nell'esperienza mediale... un aspetto che, a mio avviso, è molto più preponderante in un podcast audio (la cui fruizione in solitaria e in concomitanza con attività a basso sforzo cognitivo, ne fanno un medium avvolgente come pochi altri) che in un video podcast. L'altro è l'ipermediazione, attraverso cui i media contemporanei rivelano e moltiplicano i segni della loro mediazione, mettendo in evidenza l'interfaccia e i processi di rappresentazione.


Come reazione alla spinta verso i podcast video, avremo quindi la possibilità di ripensare, riscrivere e rimodellare anche le produzioni audio (perché no, in modalità inclusive che strizzino l'occhio anche alle nuove generazioni) e, al contempo, lavorare a livello tecnologico per ibridare ulteriormente i due mondi, magari creando esperienze che iniziano in studio con ripresa frontale degli host e si spostano poi in un mondo solo audio. O che esplorino un argomento, alternando contenuti e formati diversi.


Due esempi a caso, solo per dire che questa novità potrebbe trasformarsi persino in un'opportunità di innovazione e sperimentazione per il podcasting, per come lo conosciamo e amiamo da tempo.



Chi farà la prossima mossa?
Ma prima: com'è allestita la scacchiera?


Devo allargare il tavolo: l'analisi non sarà mai completa finché non avremo considerato tutti gli stakeholders coinvolti, molti dei quali non hanno ancora fatto la propria mossa.


YOUTUBE

Google ha già mosso le sue pedine: ha mandato in pensione Google podcast, scommettendo tutto sulla sua storica piattaforma video (feed RSS importato e, quando non c'è, il video si genera da solo) con i numeri a dargli ragione e discoverability, monetizzazione e insight iper-approfonditi a infiocchettare l'offerta.


SPOTIFY

Ne abbiamo parlato a lungo: con le numerose integrazioni e la promessa di ulteriori rilasci (la prossima potrebbe essere il video in 9:16, come se gli intenti non fossero già chiarissimi) la creator-strategy è sempre più definita. Così come, immagino, si orienterà su nuovi modelli di personalizzazione algoritmica, seguendo le orme dei Social (vedi insight tratti dall'evento citato nell'incipit).


LE ALTRE PIATTAFORME DI STREAMING, APPLE PODCAST IN PRIMIS

A onor del vero, Apple podcast consente già il caricamento dei formati video, ma la funzionalità non è particolarmente usata e sospetto non attinga in automatico i video caricati su hosting Spotify for Creators. Apple non sembra interessata a integrare strumenti interattivi come commenti e sondaggi, rinunciando a meccaniche da Social Network. Investe, piuttosto, su un sistema di trascrizione automatica multilingue (con l'utilissima funzione cerca all'interno dell'episodio) e su un web player - accessibile anche senza account itunes - per raggiungere anche gli utenti non mac-oriented. Vedremo.


LE PODCAST COMPANY

Non è scontato che le case di produzione vogliano integrare nel proprio offering i formati video, ancora meno che tutte intendano investire sul mondo dei creator (ovviamente qualcuna lo fa già). Molte hanno costruito riconoscibilità e value proposition potenti alle quali non vorranno rinunciare, perciò è probabile che le pipeline resteranno invariate, visti i cicli di produzione non brevissimi. Diverso è il discorso per chi già si definisce Creator company, tipo VOIS.


I PODCASTER INDIPENDENTI

Questo è il mondo che mi interessa di più: è vivace e ci metterebbe pochissimo a virare sul nuovo formato. La polarizzazione avverrà sulla base degli obiettivi (e dei gusti): chi è entrato nel mondo dell'audio per fare audio continuerà a farlo, chi ha l'ambizione di diventare creator... si aprirà al video, con minimo investimento tecnologico e la rinuncia a incidere in pigiama e senza trucco. Quello che mi incuriosisce di più, però, è studiare quanto il fenomeno della reinvenzione impatterà su noi indipendenti. Basta fare un giro al Festival del podcasting per accorgersi che il serbatoio sperimentale dell'intero ecosistema siamo quasi sempre noi indie.


I BRAND

Parliamo di business? Le aziende che investono in branded podcast hanno due opzioni: allineare gli investimenti in branded podcast alle analoghe iniziative con creator e influencer sui Social media (con annesso, attendibile, boost di visibilità) oppure optare per la produzione di contenuti audio immersivi, che nel tempo hanno confermato tassi di deeper understanding, memorabilità e propensione all'acquisto ben più alti delle iniziative sponsorizzate tramite reel - vedi IPSOS digital audio survey 2024.


GLI ASCOLTATORI

Ultima ma assolutamente non ultima: la domanda. Gli ascoltatori di podcast - non solo Gen Z e Alpha - hanno abitudini di ascolto molto precise e prediligono generi come l'inchiesta e il true crime che non sempre sono declinabili in modalità talk. Nel 2024 sono cresciuti, secondo IPSOS, l’ascolto in auto (34%), walking (21%) e sui mezzi di trasporto (20%), contesti in cui una sbirciata al video si può anche dare, ma dove il grosso della fruizione avviene hands-off.


Infine, proprio in questi giorni l'Oxford Dictionary ha eletto "brain rot" parola dell'anno. L'esposizione a contenuti che generano "marciume cerebrale" sui social è un punto di attenzione e rilevo una presa di coscienza sempre più diffusa sulla pericolosità delle filter bubble. E meno male che finora i podcast ne erano rimasti fuori...



Come dicevo, spero che la discussione non si esaurisca in fretta.

Sentiti liber* di dirmi cosa ne pensi nei commenti o proseguire la conversazione sui tuoi canali, menzionandomi e linkando questo post.

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